Il cambiamento climatico: i rischi per l’uva e i vini

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Il cambiamento climatico può avere un impatto significativo sul settore enologico, influenzando direttamente lo sviluppo e la maturazione dell’uva e, di conseguenza, la produzione di vino.

I rischi chimici e microbiologici possono emergere in diverse fasi del processo di produzione: dalla crescita dell’uva fino alla fermentazione e all’invecchiamento del vino.

Sono tre le principali classi di composti che possono provocare delle problematiche:

  • I composti che si formano nell’uva a seguito di pratiche agricole, condizioni ambientali e contaminazioni, come quelle fungine, da metalli pesanti, pesticidi o micotossine;
  • I composti di origine microbiologica, come l’etilcarbammato e le ammine biogene (BA) prodotti dall’attività di lieviti e batteri durante la fermentazione;
  • I composti chimici utilizzati nel processo di vinificazione, come l’anidride solforosa e il materiale chiarificante proteico;

 

In questo articolo studieremo in particolare i meccanismi di produzione dell’etilcarbammato; prossimamente invece ci concentreremo nuovamente sulle ammine biogene (BA) e analizzeremo i meccanismi di produzione delle micotossine.

L’impatto del clima sullo sviluppo dell’uva e sulla produzione di vino

Dalla metà dell’800 al 2018 la temperatura media superficiale è aumentata di circa 1 °C a causa delle emissioni derivanti da attività umana.

L’agenzia Europea dell’ambiente stima che con l’aumento della temperatura media di 1°C le imprese agricole dell’area dell’Europa meridionale avranno perdite pari al  9% del valore totale del terreno.

Questo a causa dall’aumento della frequenza di eventi legati al riscaldamento climatico (come la siccità) e dei cambiamenti delle precipitazioni, portando sia alla desertificazione che alle inondazioni dei campi.

Andamento della temperatura dell’aria sulla superficie terrestre dal 1850 al 2018 (https://data.giss.nasa.gov)

La coltivazione della vite è estremamente suscettibile anche ai più lievi mutamenti delle condizioni atmosferiche. Questa sensibilità rende la produzione di vino altamente influenzata dal cambiamento climatico, poiché anche variazioni apparentemente minime possono incidere significativamente sulle fasi di crescita della pianta e sulla composizione dei suoi frutti.

Le  variabili sulle quali incide fortemente il cambiamento climatico sono la quantità d’acqua, l’irraggiamento solare e l’aumento della temperatura, che influenzano direttamente la qualità dell’uva, in quanto portano a mosti con un tenore zuccherino più elevato, a pH più elevati e una minore acidità.

Una delle principali conseguenze dell’aumento della temperatura è l’anticipo dell’invaiatura, in cui avviene il cambiamento di colore dell’acino e l’inizio dell’accumulo di zuccheri.
Questo fa sì che l’enologo debba scegliere tra vendemmia tardiva, dando origine a vini di alto grado alcolico e amari o una vendemmia anticipata, producendo vini con bassa densità di colore e scarsa intensità e complessità aromatica.

Oltre alla concentrazione alcolica nei vini, l’innalzarsi della temperatura globale, fa aumentare anche il pH.
Questo può favorire la crescita microbica sull’uva, quindi la produzione di tossine presenti nella materia prima e di conseguenza nel vino. Favorisce inoltre e la proliferazione di ceppi di lieviti deterioranti non patogeni come i Brettanomyces.

La quantità di composti azotati, inoltre, aumenta durante la maturazione delle uve e ciò può portare alla formazione di ammine biogene.

I rischi legati alla fermentazione                           

È raro trovare microrganismi patogeni nei vini, essendo questi riconosciuti come alimenti microbiologicamente a basso rischio, poiché contengono l’etanolo che ne previene la crescita.

Pertanto i rischi possono provenire solo da microrganismi non patogeni il cui metabolismo rilascia determinati prodotti tossici,  quale il carbammato di etile (o uretano o etilcarbammato), riclassificato nel 2007 come “probabile agente cancerogeno per l’uomo” secondo l’IARC (Gruppo 2A, nel 2007).

 

Formazione dell’etilcarbammato da etanolo e urea

Si forma durante la fermentazione alcolica e l’invecchiamento, mediante reazione chimica spontanea dell’etanolo con i carbamil composti, rilasciati dal metabolismo dei lieviti. Tra questi troviamo l’urea e la citrullina, rilasciata da batteri lattici.

La reazione è favorita da alte temperature, per questo viene rinvenuto spesso nelle bevande alcoliche quali scotch e whisky.

Urea e citrullina sono in parte derivati dal metabolismo dell’arginina uno degli amminoacidi più presenti nell’uva. Questi si accumulano nei frutti a causa di un’elevata fertilizzazione con sostanze azotate, che portano ad una migliore formazione di composti volatili. I fertilizzanti diventano infatti indispensabili quando la vendemmia è stata precoce ma obbligata dal cambiamento climatico (Gutiérrez-Gamboa, Garde-Cerdán, Carrasco-Quiroz, Martínez-Gil, & Moreno-Simunovic, 2018).

Pertanto, una varietà di uva contenente dosi maggiori di questo amminoacido o sottoposta a fertilizzazione massiccia con composti azotati, può avere un alto potenziale di sviluppo del carbammato di etile.